«Nessuno ti renderà gli anni, nessuno ti restituirà a te
stesso; andrà il tempo della vita per la via intrapresa e non tornerà indietro
né arresterà il suo corso; non farà rumore, non darà segno della sua velocità
(…) Il maggior spreco della vita è il differirla: è questo a procrastinare ogni
giorno che viene, è questo a scippare il presente, mentre promette il futuro.
Il maggior ostacolo al vivere è l’attesa, chi dipende dal domani, perde
l’oggi.»
Si tratta di un brano dal De brevitate vitae di Seneca, un testo scritto tra il 49 e il 55 d.C, vale a dire qualcosa come 1970 anni fa… Eppure sembra scritto ieri!
Confrontiamo queste parole con questa immagine:Un paesaggio desolato, surreale – beh, è un dipinto di Dalì,
come poteva essere diverso? Una luce densa illumina il ramo secco di un albero,
un ripiano rettangolare e grigio su cui sono posti giganteschi orologi da
taschino, quelli a cipolla che si usavano una volta. I signori li portavano
appesi a una catenella, dentro al taschino, e li tiravano fuori mentre si
lisciavano i baffi per controllare l’ora. Non c’erano ancora gli orologi da
polso, a quel tempo. Gli orologi sono giganteschi, ma flosci. Ammollati, se ne
stanno lì, pigri e spenti, e non misurano più nessun tempo. Uno è chiuso, un
altro adagiato sul corpo di un grosso animale strano, con un solo grande occhio
chiuso, come una specie di balenottero spiaggiato dalla forma irriconoscibile.
Una mosca cammina sul vetro dell’orologio più in vista, mentre su quello
chiuso, una fila di formiche forma una specie di disegno decorativo. La luce
fredda viene da un punto lontano, un orizzonte vuoto, una riva senza
riferimenti.
Sono gli orologi molli, così li chiamava Dalì. Molli come un tempo morto, qualcosa che non scorre, che non è produttivo, vivace e vivo. Ne dipinse moltissimi. Eppure il titolo di questo particolare dipinto parla di memoria. Una memoria che è traccia di un tempo trascorso così, adagiato, fuso, senza ticchettio di alcuna speranza.
Il tema del tempo molle, fermo, ricorda un’altra immagine celebre. Ne Il posto delle fragole di Igman Bergman (1957) è un orologio senza lancette, ma con due grandi occhi spalancati, disegnati sotto a tessere il tempo che non va (più da nessuna parte).
Due immagini inquietanti, che lasciano un senso di... mancanza di senso e inquietudine.
Come fare allora?
Come esercizio pratico, per cominciare, scrivi su un foglio
quali sono i tuoi valori, le cose che per te contano nella vita e i tuoi
obiettivi.
Poi, elenca le cose che fai ogni giorno, la tua routine
quotidiana di una giornata tipo. Indica accanto ad ogni cosa che fai il tempo
che impieghi per farla.
Chiediti quanto tempo trascorri leggendo, scrivendo,
occupandoti delle cose creative che piacciono o delle persone che ami e quanto
invece lavorando, mangiando, dormendo, guardando la tv e i social, facendo
sport e così via.
Ora guarda i due fogli. Le due cose sono in equilibrio? Dai
effettivamente più tempo alle cose che ami di più o lo perdi in cose che non ti
sono utili? C’è qualcosa che puoi cambiare?
Perché come diceva Seneca:
«Metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del
futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l’altro la vita se ne
va.» (Seneca)