Seneca, Dalì e Ritorno al futuro. Rendere proficuo il proprio tempo




R. Zemekis, Ritorno al futuro, 1985


Chi non si ricorda di Marty di Ritorno al futuro che viaggiava nel tempo per migliorare la vita propria e dei propri cari? Purtroppo non possiamo tornare indietro nel tempo e recuperare il tempo perso, ma possiamo cambiare il nostro presente per guardare al futuro e costruirlo il più simile possibile a come o desideriamo.

«Nessuno ti renderà gli anni, nessuno ti restituirà a te stesso; andrà il tempo della vita per la via intrapresa e non tornerà indietro né arresterà il suo corso; non farà rumore, non darà segno della sua velocità (…) Il maggior spreco della vita è il differirla: è questo a procrastinare ogni giorno che viene, è questo a scippare il presente, mentre promette il futuro. Il maggior ostacolo al vivere è l’attesa, chi dipende dal domani, perde l’oggi.» 

Si tratta di un brano dal De brevitate vitae di Seneca, un testo scritto tra il 49 e il 55 d.C, vale a dire qualcosa come 1970 anni fa… Eppure sembra scritto ieri!

Confrontiamo queste parole con questa immagine:

Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931, olio su tela, 24 x 33 cm. New York, Museum of Modern Art (MoMa)

Un paesaggio desolato, surreale – beh, è un dipinto di Dalì, come poteva essere diverso? Una luce densa illumina il ramo secco di un albero, un ripiano rettangolare e grigio su cui sono posti giganteschi orologi da taschino, quelli a cipolla che si usavano una volta. I signori li portavano appesi a una catenella, dentro al taschino, e li tiravano fuori mentre si lisciavano i baffi per controllare l’ora. Non c’erano ancora gli orologi da polso, a quel tempo. Gli orologi sono giganteschi, ma flosci. Ammollati, se ne stanno lì, pigri e spenti, e non misurano più nessun tempo. Uno è chiuso, un altro adagiato sul corpo di un grosso animale strano, con un solo grande occhio chiuso, come una specie di balenottero spiaggiato dalla forma irriconoscibile. Una mosca cammina sul vetro dell’orologio più in vista, mentre su quello chiuso, una fila di formiche forma una specie di disegno decorativo. La luce fredda viene da un punto lontano, un orizzonte vuoto, una riva senza riferimenti.

Sono gli orologi molli, così li chiamava Dalì. Molli come un tempo morto, qualcosa che non scorre, che non è produttivo, vivace e vivo. Ne dipinse moltissimi. Eppure il titolo di questo particolare dipinto parla di memoria. Una memoria che è traccia di un tempo trascorso così, adagiato, fuso, senza ticchettio di alcuna speranza.

Il tema del tempo molle, fermo, ricorda un’altra immagine celebre. Ne Il posto delle fragole di Igman Bergman (1957) è un orologio senza lancette, ma con due grandi occhi spalancati, disegnati sotto a tessere il tempo che non va (più da nessuna parte).



Igmar Bergman, Il posto delle fragole, 1957 (frame)


Due immagini inquietanti, che lasciano un senso di... mancanza di senso e inquietudine.

Come fare allora?

Come esercizio pratico, per cominciare, scrivi su un foglio quali sono i tuoi valori, le cose che per te contano nella vita e i tuoi obiettivi.

Poi, elenca le cose che fai ogni giorno, la tua routine quotidiana di una giornata tipo. Indica accanto ad ogni cosa che fai il tempo che impieghi per farla.

Chiediti quanto tempo trascorri leggendo, scrivendo, occupandoti delle cose creative che piacciono o delle persone che ami e quanto invece lavorando, mangiando, dormendo, guardando la tv e i social, facendo sport e così via.

Ora guarda i due fogli. Le due cose sono in equilibrio? Dai effettivamente più tempo alle cose che ami di più o lo perdi in cose che non ti sono utili? C’è qualcosa che puoi cambiare?

Perché come diceva Seneca:

«Metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l’altro la vita se ne va.» (Seneca)