3 volte Giuseppe Penone



Giuseppe Penone, Idee di pietra, 2004 
Fort Bay, St. Francisco 2019


Negli ultimi giorni non faccio che leggere di Giuseppe Penone. Ovviamente, è una buona notizia.

Per prima cosa c'è la notizia che Penone ha donato al Castello di Rivoli più di duecento sue opere si carta, a cui va aggiunta l'opera dal titolo Svolgere la propria pelle – finestra (1970-2019). Speriamo che riaprano i musei e di poterla vedere presto.

 Qui il comunicato stampa con la notizia completa. 


Giuseppe Penone, L’albero ricorderà il contatto del mio corpo, 1968.
© Archivio Penone e Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea


Poi, la mailing list della storica Galleria Tucci Russo, di Torre Pellice, propone un viaggio On the road attraverso le sue esposizioni storiche dagli anni settanta ad oggi. Così ti trovi nella mail alcune vere perle. 

L'ultima mail che ho ricevuto, o una delle ultime, su questo tema, aveva al centro proprio le opere di Giuseppe Penone. In particolare, mi ha colpito una di esse: propagazione, dice. Forme essenziali, brevi. Ma c'è tutto senso di un'energia che si propaga, appunto, palpabile.

Qui il sito della galleria con le informazioni utili su questa ed altre opere.

Infine, la newsletter di Gagosian propone una riflessione sull'opera di Penone, in particolare su due sue installazioni presso la St. Francisco's Fort Bay. Il breve saggio di Elizabeth Mangini si può leggere qui

Giuseppe Penone, Propagazione 1995/2000
Courtesy @ Galleria Tucci Russo


C'è un collegamento tra queste notizie. L'interesse per le opere di Penone (evviva!) ha un senso particolare proprio adesso, in questo momento storico?

Non è solo un rifugiarsi in opere contemporanee, ma ormai storicizzate, c'è di più. Ma cosa?

Sarà per l'interesse di Penone per la natura, per la vita degli alberi e il loro simbolismo? O per le sue pietre, che come pensieri, non sai più quanto sono leggere, o pesanti? Saranno le installazioni che fanno pensare, guardare la natura e riflettere su come ad essa ci relazioniamo, senza mai dimenticare che è (almeno, anche) attraverso di essa che il nostro pensiero si dispiega, mette radici e cresce?

Oppure saranno le domande aperte che le sue opere sempre ispirano, come tracce indelebili di un modo di fare arte colto, pensato, serio e insieme poetico, che un po', forse, manca? 

O c'è ancora altro da dire? Certamente è così.

Ma mi piace lasciare la domanda aperta. Ci voglio pensare.